Da circa due anni percepisco una busta paga più alta. L’azienda sostiene che sia un errore nel calcolo di un premio produttività e rivuole il denaro indietro, è possibile?

In verità non la questione non è di soluzione immediata, occorre capire in quale voce stia l’errore e se è realmente di calcolo oppure no. Quando, per un lasso considerevole di tempo, e due anni lo sono, si riceve in busta paga una somma in più, semplicemente a titolo di retribuzione, la giurisprudenza è incline a determinare l’acquisizione del surplus nella busta paga maggiorata come diritto del lavoratore, dunque può non doversi restituire. La ratio è quella di ritenere il sovrappiù come aumento tacito, una sorta di superminimo/aumento, riconosciuto al lavoratore tacitamente durante il rapporto di lavoro. Diverso è se l’aumento in busta sia determinato da errori materiali di calcolo, ad esempio del consulente che si occupa della redazione dei cedolini paga. Può accadere infatti che su alcune voci del cedolino, anche se contrattualmente riconosciute al lavoratore, vi sia una errata applicazione della tassazione e/o dei contributi previdenziali. In questo caso il tipo di errore, rilevabile direttamente dalla lettura della busta paga, non potrà mai essere considerato un tacito aumento a favore del dipendente ed il datore avrà diritto a conseguirne la restituzione. Se le somme vanno restituite si porrà un secondo problema: se l’errore è ripetuto per molti mesi si può dare il caso di importanti differenze a debito del lavoratore, somme che potrebbe non avere a disposizione. L’azienda dovrà, per buon senso procedere ad una trattenuta mensile e non potrà pretendere la restituzione dell’intera somma a stretto giro avendo essa stessa dato corso all’indebito retributivo. Si deve aggiungere che per le somme frutto di errore, anche materiale di calcolo, versate al lavoratore da oltre cinque anni, cade la prescrizione del diritto di restituzione in capo al datore di lavoro.