Rivendendo una seconda casa a meno di 5 anni dall’acquisto posso evitare di pagare tasse sulla plusvalenza con un preliminare in cui ricevo un cospicuo acconto, stipulando poi il contratto definitivo scaduto il quinquennio?

Il preliminare di compravendita non trasferisce la proprietà del bene ma obbliga solo le parti a concludere entro una certa data il contratto definitivo, il rogito, quello che invece produce gli effetti traslativi veri e propri. Se dunque l’evento a cui ricollegare la sussistenza di una plusvalenza imponibile è il perfezionamento della cessione vera e propria, è il definitivo il presupposto di imposta al ricorrere del quale l’eventuale plusvalenza sull’immobile assume rilevanza fiscale, e viene tassata. Il contratto preliminare di compravendita, pertanto, non sarebbe suscettibile, di per sé, di sortire effetti tributari in capo al venditore per la tassazione Irpef della plusvalenza per vendita infraquinquennale, ancorché trascritto nei pubblici registri e avendo in tale sede ricevuto somme a titolo di acconto e/o caparra. Se il definitivo viene stipulato entro il quinquennio dall’acquisto precedente anche gli acconti di cui al preliminare verranno tassati (la plusvalenza è la differenza di prezzo, tra acquisto e vendita, le date di pagamento degli acconti rileveranno al solo dell’imputazione ad anno di imposta). Se invece il rogito interviene dopo il quinquennio, come nel caso prospettato, il presupposto di imposta non si verifica in radice. A fronte di una teorica fattibilità sta però la possibilità, specie in caso di cospicuo acconto, di accertamento fiscale per contrasto con il cosiddetto principio antielusivo secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla sola elusione fiscale.