scalaext
Sono proprietario di una casa in campagna originariamente costituente un unico immobile con quello confinante. La uso come casa vacanze dunque ci vado sporadicamente o la affitto a chi vuole passare un po’ di tempo a contatto con la natura. La casa ha un terrazzino al primo piano che si raggiunge sia internamente, con scaletta a chiocciola, sia esternamente tramite un tramite una scala esterna posta sulla proprietà confinante, sulla quale insiste una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia. Durante l’inverno il mio vicino ha abbattuto la scaletta che serviva l’ingresso esterno del terrazzino senza avvertirmi, quindi non posso più far valere il passaggio. Come posso ripristinare la situazione?

E’ bene premettere che il diritto di servitù per come descritto è quello cosiddetto per destinazione del padre di famiglia (art.1062 c.c) ovvero costituito tramite la destinazione impressa ad opere apparenti dall’originario unico proprietario di immobili ora frazionati nel titolo di proprietà, ma spesso contigui e che conservano alcune utilità loro conferite in epoche più remote. In particolare è una servitù di passaggio a piedi su scala esterna.
Se la servitù era intatta al tempo della rimozione della scala, ovvero non vi è stata rinuncia ai sensi dell’art 1350 n.5 cc.( che deve risultare per iscritto ma anche non da atti ad hoc, ad esempio “le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale, quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto” Cfr. Cass. n. 10457/2011; n. 6764/2003) e la medesima non si è estinta per non uso ventennale (Art. 1073 c.c.) allora il diritto, dal punto di vista sostanziale è tutelabile.
Nel caso di specie la tutela consigliabile è quella di tipo possessorio, una tutela di regola accelerata e che mira a reprimere situazioni poste in essere in modo illegittimo da parte del proprietario del fondo servente.
Nello specifico l’azione tipica da utilizzare sarebbe l’azione di reintegrazione nel possesso della servitù di passaggio (1168 c.c.), la quale richiede che vi sia stato spoglio e che le modalità del medesimo siano realizzate in modo violento e clandestino. L’azione di reintegrazione va esercitata entro l’anno dalla scoperta dello spoglio.
Dal punto di vista della procedura occorre prendere in considerazione quanto previsto dal codice di procedura civile per le azioni possessorie, ovvero l’art. 703 cpc e per combinato l’art 669 bis e seguenti cpc, dunque trattasi di procedimento strutturato sulla falsariga del processo cautelare, in camera di consiglio, a cognizione sommaria, che normalmente sfocia in un’ordinanza interdittale di accoglimento, che ordina il ripristino della situazione precedente, ovvero di rigetto , respingendo la domanda per il difetto di prova o altri requisiti di legge.
Circa la prova da fornire per accedere alla tutela possessoria è sufficiente la prova dell’esercizio della servitù di transito (Cassazione, SS.UU., sentenza 18 febbraio 1989, n. 958) , magari producendo elaborati o fotografie relative alla situazione in essere l’anno precedente lo spoglio e l’indicazione di testimoni in grado di riferire positivamente circa gli episodi di transito, dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
Di regola il Giudice, sulla base della prova del solo possesso (situazione di fatto che implica animus possidendi a prescindere dalla buona o mala fede, e che dunque potrebbe non corrispondere al diritto di proprietà, in più l’azione spetta anche al detentore qualificato dunque al locatario o comodatario che sia). Il principio sotteso alla disciplina dell’azione in parola è l’opposizione dell’ordinamento a forme di autotutela che prescindano dal corretto accertamento da parte di un organo a ciò preposto dallo stato, il Giudice.
Nel caso di esito positivo del giudizio possessorio, vale a dire in ipotesi in cui si ottenga un’ordinanza interdittale (preciso che essa è reclamabile al collegio entro 15 giorni dalla comunicazione) che intimi la reintegrazione nel possesso mediante il ripristino delle opere preposte all’esercizio della servitù, il provvedimento è suscettibile di divenire definitivo, dunque eseguibile in via coercitiva, qualora nessuna delle parti dia seguito alla cd. seconda fase a cognizione piena del giudizio (cosiddetto merito possessorio), che è solo eventuale ed attivabile con ricorso da depositarsi entro 60 giorni dall’emissione del primo provvedimento. In caso di successo nella prima fase da parte dello spogliato chiaramente la seconda fase diventa appannaggio dello spogliante il quale intende ribaltare la situazione e sconfessare il contenuto dell’ordinanza. In caso di ordinanza di rigetto, invece sarà il primo ricorrente spogliato ad avere maggior interesse a perseguire il merito possessorio al fine di tutelare la propria pretesa.
L’alternativa all’azione possessoria è quella petitoria, fondata sulla prova del diritto reale, dunque non spettante al mero possessore, e che nel caso di specie viene chiamata vindicatio servitutis.
Da tenere presente anche l’esistenza dell’obbligo di attivare il procedimento di mediazione che dopo la Legge 9 agosto 2013, n. 98 di Conversione, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, è tornata obbligatoria. In questo caso l’obbligo di mediazione si applicherebbe integralmente al giudizio petitorio, mentre per ciò che concerne il possessorio alla sola fase di merito peraltro eventuale.