Volevo esporvi la mia situazione, possiedo una casa ormai da venticinque anni, per arrivare al cancello di casa è necessario percorrere una strada, di proprietà dei miei vicini (in realtà la metà dx della strada è di proprietà dei vicini che abitano l’immobile posto in adiacenza di quel ciglio di strada, mentre la restante metà a sx è di proprietà dei dirimpettai), su di essa c’è una servitù di passaggio in mio favore. La strada sarà larga 5 mt e uno dei due proprietari della strada è uso parcheggiare le proprie auto sul ciglio destro della strada così restringendone la carreggiata della metà e creando problemi a me ed i miei famigliari nell’acceesso a casa. Leggendo il contratto di acquisto ho letto che “il lotto è fornito di accesso a mezzo di una strada di metri lineari 5 di larghezza, che grava su altro lotto e sulla quale Tizio (cioè io) avrà il diritto di passaggio di pedoni e veicoli con obbligo di contribuire alla manutenzione della medesima….” Vorrei sapere il contenuto e l’estensione reale del mio diritto e cosa posso fare eventualmente per far cessare questi abusi dei miei vicini. Grazie

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Ciao, inizio col premettere premettere che il titolo della servitù recita, in modo fuorviante, che il ” il Sig. Tizio avrà diritto di passaggio di pedoni e veicoli….” orbene, caratteristica essenzialità delle servitù è la cd. predialità, ovvero quella di essere legate indissolubilmente al fondo, e non al proprietario, tanto che- se regolarmente trascritte – godono del cd diritto di sequela (ovvero vengono inderogabilmente cedute – dal lato passivo o attivo- insieme con la cessione del fondo servente o dominante). La prima osservazione dunque verte sulla fase costitutiva del diritto reale di cui si tratta: il preteso titolo di servitù sarebbe, letteralmente analizzato, carente del requisito della predialità, e parrebbe costituire un diritto personale di godimento in favore del proprietario e non (in ossequio al criterio di predialità stesso) in favore del fondo dominante in sè stesso. L’osservazione appena fatta, certamente non direttamente riguardante l’interrogativo posto (tanto più che pare non essere contestata l’esistenza stessa della servitù), può comunque essere utile, potendo dare luogo in futuro a fraintendimenti. Altrettanto poco chiara pare la sequela di atti e trascrizioni, per la quale ci si limita qui ad affermare che vi sono due modi per rendere opponibile ai terzi (quindi gli eventuali compratori futuri dei fondi serventi) esistenza e contenuto della servitù:
Essa deve emergere nei suoi estremi individuabili nel titolo originario (natura della servitù, fondi gravati e fondi beneficiari) dalla Nota di trascrizione;
Alternativamente, è sufficiente che vi sia l’atto scritto tra le parti anche se non trascritto, a condizione che l’acquirente avente causa di uno dei fondi gravati da servitù accetti, per espressa menzione nell’atto traslativo della proprietà, la servitù esistente tra le parti originarie. Questo sistema però rischia, in ipotesi di non menzione( accidentale o volontaria che sia), di rendere in opponibile la servitù con buona pace del fondo dominante)
Passando all’analisi della fase dell’esercizio concreto della servitù, supponendo dunque la valida costituzione e la trascrizione del titolo contenente il peso per il fondo servente in favore di quello dominante , è bene sottolineare subito la peculiare importanza del titolo stesso ai fini della relativa disciplina: l’articolo 1063 del Codice, difatti, pone il suo contenuto come fonte preminente ai fini dell’individuazione tanto dell’estensione quanto delle modalità di esercizio della servitù. Il titolo costitutivo della servitù può indicare ogni singolo potere conferito al proprietario del fondo dominante, ma , in mancanza soccorre ad integrazione la norma di cui all’art 1066 c.c. la quale recita “il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne”, ovvero dal secondo periodo dell’art 1065 c.c “Nel dubbio circa la estensione e le modalità di esercizio la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con minor aggravio per il fondo servente”. Tuttavia, come del resto afferma giurisprudenza maggioritaria, qualora la servitù sia stata costituita mediante convenzione (quindi per contratto come nel caso concreto), l’estensione e le modalità di esercizio debbono essere ricavate dal titolo (cass 3 aprile 1999 n. 3286; 6 agosto 1997 n. 7220) In altri termini, se la servitù è stata costituita per contratto esso è la fonte principe al quale bisogna fare riferimento per definirne modi d’esercizio ed estensione, soccorrendo le norme suppletive e criteri di esegesi interpretativa del contratto solo in caso di titolo poco chiaro o generico. n applicazione dell’art. 1065 c.c., ad esempio ” l’installazione, al confine tra il fondo servente e la strada pubblica, di un cancello che non consente il transito contemporaneo dei due veicoli nei due sensi di marcia, di una guardiola che consente l’accesso carrabile per tutta l’ampiezza del cancello ed il parcheggio di auto su una zona limitata del fondo servente, tale da non impedire il transito delle auto dirette al fondo dominante, non comportano violazione della servitù di passaggio in mancanza di una specifica indicazione del titolo costitutivo. viene permesso su una strada” (C. d’Appello Napoli 18/04/1995), ragionando a contrario – a pro del caso concreto qui analizzato -, se il titolo avesse specificato esattamente la larghezza della strada ove gravava il diritto di passaggio ne sarebbe derivata l’inapplicabilità dell’art 1065 cc. e quindi la possibilità da parte del titolare del fondo dominante di inibire simili condotte.
Seguendo l’indirizzo dottrinale e giurisprudenziale sopra proposto, alla luce del contenuto del titolo costitutivo nel caso di specie, si evince chiaramente sia la modalità (diritto di passaggio di pedoni e veicoli) sia l’estensione (a mezzo di una strada di 5 metri lineari). Se le parti avessero semplicemente indicato in titolo il diritto di passaggio carraio senza alcuna specificazione allora potevano trovare applicazione i criteri suppletivi di legge , primo tra i quali l’art. 1065. Tanto più che i comproprietari della strada servente sono due, ipotizzando per ognuno il parcheggio indiscriminato ed abituale dal proprio lato di automobili, ciò renderebbe di fatto completamente impossibile l’esercizio della servitù medesima.
Dunque pare potersi affermare con buon grado di attendibilità che la servitù che grava sulla strada che porta al fondo dominante si estenda per entrambe le corsie di marcia che coprono i 5 metri lineari, dunque anche quella oggetto di parcheggio abituale la qual condotta lederebbe l’estensione del diritto di servitù di cui gode il fondo dominante.
Passando ai rimedi esperibili per porre fine alla limitazione posta in essere dai vicini di seguito indicherei:
L’azione di manutenzione, ex art 1170 c.c., fa parte del novero delle azioni possessorie e tutelano il possesso di un diritto reale (in questo caso servitù) quando questo non si a contestato in se e per sé quanto alla sua esistenza ma esclusivamente oggetto di turbativa. In qualità di azione possessoria si esercita davanti al tribunale del luogo ove ha sede l’immobile e vine processata sulla base del rito camerale, di norma più celere . Questa azione serve ad ottenere celermente (rispetto ad un normale processo di cognizione ordinaria e in rapporto al carico del Tribunale adito, non quindi celere in assoluto) una pronuncia che ordini la cessazione della turbativa (in questo caso il parcheggio indiscriminato sul lato destro). Tuttavia, quale condizione per l’esercizio della azione stessa, l’articolo prescrive che essa venga intentata entro l’anno dalla turbativa (la ragione sta nella ratio stessa della norma, atta a porre rimedio a situazione in essere), quindi, se la servitù è inficiata da oltre un anno, avrebbe buon gioco la difesa avversaria chiedendo la reiezione della domanda di manutenzione in ritardo proposta;
Nel caso invece sia trascorso l’anno dall’inizio delle turbative è comunque proponibile la c.d. “vindicatio servitutis”, anche detta “azione confessoria”. In base all’art. 1079 c.c., il proprietario del fondo dominante è legittimato a utilizzare tale strumento ogni qual volta abbia interesse ad accertare l’esistenza del proprio diritto. Nel caso in cui abbia subito o stia subendo impedimenti o turbative di qualunque tipo, potrà chiedere contestualmente anche la cessazione di questi ostacoli al legittimo godimento del suo diritto, nonché, se del caso, la riduzione in pristino e il risarcimento dei danni. A ben vedere l’art. 1079 cod.civ. prevede una duplicità di azioni , entrambe aventi natura petitoria, che nell’opinione tradizionale vengono univocamente denominate come ” actio confessoria servitutis” . La norma prevede infatti un’azione che ha carattere di accertamento ed una di condanna , quest’ultima quanto alla cessazione o rimozione degli impedimenti, nonché alla remissione in pristino ed al risarcimento dei danni. La detta azione sarebbe processata secondo il rito di cognizione ordinaria, e, nel caso concreto sarebbe adatta ad ovviare a turbative, ultra annuali, inoltre, se oltre alla mera cessazione delle turbative si domanda altresì l’accertamento della servitù nella sua estensione, la sentenza è suscettibile di trascrizione nei pubblici registri immobiliari con possibilità di opporla a tutti i terzi.

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