Buongiorno, ho un figlio di ventisette anni un pò scapestrato e con qualche problema di personalità e credo un lievissimo ritardo, tuttavia non certificato o comunque non inabilitato o sottoposto ad amministrazione di sostegno. Avanzando gli anni, comincio a temere per il suo futuro e vorrei tutelarmi con un testamento che permetta a mio figlio di godere del piccolo patrimonio che lascerò a condizione che venga amministrato da un terzo nel suo interesse, che possa far pervenire all’erede una rendita periodica senza il rischio che il tutto possa andare perso. Ho letto che il trust anglosassone è utilizzabile anche da noi ed avrei pensato di crearne uno per mio figlio proprio nel testamento, è possibile?
Lo schema di testamento proposto fa emergere l’esigenza di tutela di un soggetto definibile come “debole” – uno dei figli – seppur in assenza di certificazione e/o di applicazione di una delle forme di tutela previste dal nostro ordinamento (interdizione/inabilitazione/amministrazione di sostegno).
Nel testamento proposto in bozza si è ipotizzata una disposizione contenente un trust in favore di uno dei figli, con obbligo del trustee di corrispondere una rendita periodica su patrimonio così vincolato. Parlando di trust, presupponiamo, per comodità espositiva – e per pressi più praticata – il rinvio alla legge inglese disciplinante l’istituto.
Ciò induce a dover svolgere una indagine circa i rapporti tra trust e sistema successorio italiano, e dei numerosi problemi che incontra questo istituto trasfuso in epoca abbastanza recente e per mero rinvio nell’ordinamento italiano.
In proposito si deve citare in prima analisi l’art. 15 Conv. Aja, che, nel fare salve rispetto al trust le disposizioni inderogabili dell’ordinamento interno, si riferisce tra le altre a quelle in materia di testamenti e devoluzione di beni successori ed in particolare alla legittima.
In tema la prima norma da tenere in considerazione è l’art. 549 , che prevede il divieto per il testatore di apporre pesi o condizioni sulla quota di riserva spettante ai legittimari.
Rientra nel concetto di “peso” ogni disposizione strutturata in modo tale da ledere la consistenza economica dei beni lasciati a titolo di legittima (ad esempio la presenza di un grave onere, oppure di un legato consistente posto a carico del solo legittimario), mentre rientra nel concetto di “condizione” la disposizione che alteri la posizione giuridica del legittimario rispetto a tali beni come la presenza di un termine o di una condizione sospensiva.
Alcuni autori ritengono che la disposizione di ultima volontà che violi la norma predetta debba esser qualificata come “intenzionalmente lesiva” della legittima e che ciò la distingua, pertanto, dalla disposizione semplicemente esposta all’azione di riduzione, la quale sarebbe invece soltanto “accidentalmente lesiva”.
In altri termini, secondo tale tesi il carattere lesivo di quest’ultimo tipo di disposizione sarebbe accertabile solo oggettivamente ed a posteriori, cioè alla luce del fatto che il valore di essa eccede quello della disponibile, mentre il primo tipo di disposizione denoterebbe, sin dall’origine, la volontà del disponente di pregiudicare la consistenza economica (o comunque di alterare la condizione giuridica) di attribuzioni patrimoniali che al legittimario spettano, nella loro integrità, per disposizione di legge.
Da tale distinzione discenderebbe, altresì, un diverso regime sanzionatorio, poiché mentre la disposizione riducibile sarebbe affetta da una mera inefficacia sopravvenuta (che il legittimario farebbe valere – appunto – con l’azione di riduzione), la sanzione discendente dalla ipotesi di lesività intenzionale, in violazione dell’art. 549 c.c. sarebbe l’inefficacia relativa (cioè rilevabile dal solo legittimario) del peso o della condizione gravanti sul lascito, cioè un’inefficacia che opera ipso iure, a differenza di quella che colpisce il lascito nel suo complesso quando lo stesso sia semplicemente soggetto a riduzione (e che è oggetto di una pronunzia giudiziale di natura costitutiva).
In sintesi, pare potersi ragionevolmente affermare che attualmente il nostro ordinamento subordina la validità e la vita stessa di un siffatto trust, all’eventuale iniziativa del beneficiario il quale potrebbe eliminarne il peso esperendo con successo l’azione di riduzione, una volta aperta la successione, ritenendo il peso del trust sul patrimonio come lesivo della quota di legittima spettante per legge, ovvero – a seconda dell’impostazione – richiedendo una pronuncia dichiarativa di nullità del trust stesso .
L’ordinamento prevede però talune deroghe al divieto ex art. 549 c.c.. A talune di esse fa espresso riferimento la parte finale di detta norma: trattasi di deroghe contenute in disposizioni dettate in tema di divisione ereditaria, e precisamente negli artt. 713, co. 2°, c.c. (per il quale il testatore può, in presenza di eredi minorenni, differire la divisione fino al compimento della maggiore età da parte del più giovane di essi), 713, co. 3°, c.c. (il testatore può differire la divisione dell’asse o di parte di esso per un periodo non eccedente i 5 anni), 733 c.c. (il testatore può dettare norme per la divisione) e 734 c.c. (il testatore può effettuare la divisione dei beni nel testamento). Nelle sopradette fattispecie la violazione dell’art. 549 c.c. parrebbe da escludersi tuttavia non si versa in casi comparabili a quello in esame, dunque è inutile soffermarvisi oltre.
Tanto premesso, nel caso in cui , un soggetto, non avendo in vita tacitato le pretese di un legittimario mediante donazioni (ovvero avendo effettuato in favore di costui donazioni insufficienti ad integrarne la legittima), istituisca un trust testamentario – come pare volersi procedere nel caso concreto – prevedente l’attribuzione di beni dell’asse a detto legittimario appare difficile escludere che l’attribuzione testamentaria a mezzo trust di regola violi l’art. 549 c.c.: i vantaggi patrimoniali previsti a favore del beneficiario dal disponente, infatti, appaiono sottoposti a termine iniziale e/o a condizione sospensiva, in quanto nell’immediato egli non è destinatario di attribuzione alcuna in piena proprietà (anzi, nel caso in cui egli sia destinatario di sole rendite del trust fund, nessun bene capitale mai gli perverrà) ed altresì la disposizione sarebbe potenzialmente lesiva della legittima (anche se questo andrebbe valutato alla luce delle regole concrete indicate nel trust) con conseguente possibilità di impugnazione.
La criticità del trust in relazione al divieto di pesi o condizioni sulla quota di legittima si pone solo per il trust testamentario e non anche per il trust liberale inter vivos, poiché l’applicabilità dell’art. 549 c.c. al solo testamento (e non anche alla donazione) è pacifica. La lesione della legittima, da valutarsi come detto in concreto, è invece in potenza anche nella trust tra vivi, una volta aperta la successione.
La soluzione prospettata da Lei, tuttavia, non parrebbe poter avere comunque successo neppure se disposta per atto tra vivi: viene infatti in questione una nota regola del diritto inglese dei trusts: trattasi della regola inderogabile nota come “Saunders v. Vautier”, secondo la quale, se esiste un unico beneficiario del trust e costui è capace di agire (o se vi sono più beneficiari capaci di agire e d’accordo fra loro), essi possono far cessare anzitempo il trust, indipendentemente dai desideri in origine espressi dal disponente.
Com’è stato osservato, detta regola “recognises the rights of beneficiaries who are sui juris and together absolutely entitled to the trust property to exercise their proprietary rights to overbear and defeat the intentions of a testator or settlor”.
La regola si spiega con la considerazione che, essendo il trust per definizione istituito nell’interesse dei beneficiari, una volta che costoro siano esattamente individuati non v’è ragione per costringerli ad attendere il termine finale del trust fissato dal disponente.
Costoro, pertanto, se sono capaci d’agire, ben possono concordemente decidere di costringere il trustee a distribuire loro immediatamente la trust property.
E’ importante sottolineare che la regola si applica solo se i beneficiari sono (oltre che capaci d’agire) “absolutely entitled”, cioè se essi – complessivamente considerati – vantano un diritto certo sulla totalità del trust fund.
In fattispecie del genere, non versandosi in ipotesi di disposizioni mortis causa è chiaro si può escludere che la fattispecie di trust testamentario incorra nella violazione dell’art. 549 c.c.. La possibilità del beneficiario unico, individuato e capace di agire,di determinare l’estinzione in qualsiasi momento del trust conseguendo i beni che ne sono oggetto, tuttavia rende il modus operandi esaminato ancora una volta inadatto allo scopo che Lei si prefigge di raggiungere nel caso in esame.
In conclusione si ritiene che l’intenzione rappresentata non sia in linea con le aspettative del disponente medesimo, essendo passibile di venire frustrata a seguito dell’esercizio – da parte del figlio stesso – di una impugnazione giudiziale alla luce del diritto delle successioni. Da affermare altresì che, anche se il trust venga disposto con atto tra vivi, il figlio, capace di agire giuridicamente, potrebbe disfarsi della tutela tramite cessazione anticipata del trust.
Si rileva che un grande ostacolo alla tutela dell’interesse posto alla base del disponente – nel caso concreto – è la formale sussistenza della capacità di agire in capo al figlio, che si vorrebbe destinatario del trust nella propria quota legittima sulla scorta dell’applicabilità all’istituto della disciplina del diritto anglosassone, cui la legge interna deve fare mero rinvio.
Analizzando possibili soluzioni per perseguire il medesimo scopo benevolo del genitore preoccupato che il figlio possa dilapidare il lascito, si individuano alcune alternative:
1. sussistendone ipoteticamente i requisiti, sarebbe utile sollecitare l’apertura – prima dell’apertura della successione – di una amministrazione di sostegno la quale, anche in epoca successiva all’apertura della successione – e indipendentemente dal trust – permetterebbe l’oculata gestione del patrimonio nell’esclusivo interesse del soggetto “debole”.
2. Una seconda alternativa si potrebbe costituire un trust, preferibilmente con atto tra vivi (per svincolarlo dalla regola dell’art 549 c.c.), ancorandolo alla legge del Liechtenstein la quale disciplina regolatrice non prevede l’applicabilità della sopraddetta regola di Saunders vs Vautier, donde non sarebbe estinguibile dal beneficiario nel modo sopra descritto;
3. in ultima analisi sarebbe possibile costituire un trust – sempre per atto tra vivi – limitatamente ad una quota del patrimonio, con entrambi i figli come beneficiari nominando trustee la figlia medesima la quale, in accordo con l’intendimento del genitore costituente, impedirà al fratello di estinguere anticipatamente il trust frapponendo la propria decisiva volontà contraria (fatta salva comunque, una volta aperta la successione, ogni azione esperibile dal figlio per accertare la lesione della legittima per aver ricevuto unicamente lascito ereditario vincolato).