Buongiorno, ho un problema di iterpretazione a proposito della legge del 30 Dicembre 2010, n. 238 – incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia, e della successiva circolare interpretativa recentemente rilasciata dall’agenzia delle entrate(Circolare 14/E del 4 Maggio 2012). 1) Al comma 4 dell’articolo 3 della legge, si escludono dal beneficio di cui al comma 1 “i soggetti che essendo titolari di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con pubbliche amministrazioni o con imprese di diritto italiano, svolgono all’estero, in forza di tale rapporto, la propria attività lavorativa”. 2) in questo contesto la circolare afferma che “Il beneficio fiscale non compete qualora un soggetto presti la propria attività all’estero alle dipendenze di un datore di lavoro straniero e, in forza di tale rapporto, “rientri” nel territorio dello Stato, continuando a lavorare per il medesimo datore di lavoro”. Mi pare ci sia una contraddizione Vorrei quindi chiarire come bisogna interpretare questi passi riportatinella circolare, perchè prima la legge sembra parlare di “imprese di diritto italiano”, e la circolare di “un datore di lavoro straniero”?.
La contraddizione in termini è solo apparente,benché vi sarebbero molte osservazioni da fare sul metodo redazionale confusionario della legge, come peraltro per la maggior parte degli interventi del legislatore negli ultimi tempi.
Invero nel primo periodo analizzato, quello di legge, il legislatore pare voler radicalmente escludere dalla fruizione del beneficio fiscale quelli che, per comodità, possiamo definire “trasfertisti”, ovvero coloro che svolgono le proprie mansioni lavorative prevalentemente in territorio estero (per ciò stesso percependo di norma stipendi maggiorati), tuttavia sotto un rapporto di lavoro sorto, regolato, retribuito e tassato in base all’ordinamento Italiano (P.A. o impresa di diritto italiano). E’ chiara la ratio sottesa alla legge che intende favorire il rientro (e diciamo, non solo ma in buona misura, rientro “fiscale”) dei cd. cervelli usciti, lavorativamente parlando, dai confini nazionali. In questa ottica i soggetti individuati come esclusi dal beneficio dall’art 3 comma quarto, si devono considerare come mai usciti e dunque non possono, ai sensi della legge, fare rientro in Italia. Applicando loro il beneficio, anzi, si avrebbe una perdita di gettito per lo Stato (quindi un costo, in ciò contrario al principio per cui ” dall’attuazione del decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” ), il quale applicherebbe paradossalmente basi imponibili ridotte nei confronti di chi veniva tassato per intero.
Nel secondo periodo in analisi, l’Agenzia delle entrate, subito dopo aver citato l’Art. 3 comma quarto pare invece, con tutta probabilità, desumere a contrario dalla stessa disposizione una seconda ipotesi escludente avente quindi la stessa identica ratio;
Se commentando l’art. 3 comma 4 si affermava che , quelli che abbiamo chiamato trasfertisti, non possono dirsi usciti lavorativamente dall’Italia, donde non possono fiscalmente farvi fiscalmente rientro, si può coerentemente affermare che non possono definirsi rientranti dei lavoratori che verrebbero in Italia, geograficamente intesa, solo a svolgere mansioni lavorative rette integralmente dallo stesso identico rapporto di lavoro del datore di lavoro di diritto straniero del Paese ove fino ad oggi hanno anche fisicamente lavorato.
Dunque i due periodi in analisi vanno osservati come due facce della stessa medaglia e non in contrapposizione:
si parla di impresa di diritto italiano per dire che non si può godere del beneficio se si traeva reddito dal rapporto di lavoro intercorrente con la detta tipologia di datrice pur lavorando in terra straniera , in pratica non configurandosi, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. a) della legge il requisito di aver “… svolto continuativamente un’attività’ di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori” dall’Italia
A contrario, secondo il chiarimento interpretativo offerto dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate, si parla di datore di lavoro straniero per dire che non si gode del beneficio se il rapporto di lavoro, sotto il quale il potenziale beneficiario andrà a svolgere in Italia, è il medesimo (“in forza di tale rapporto”) che intercorreva con l’impresa di diritto straniero quando ivi prestava attività, in pratica non “vengono assunti in Italia” come invece prescritto nel correlativo requisito di cui ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. a) della legge.

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