Una recente sentenza della Suprema Corte è tornata sul tema del diritto del coniuge divorziato ad un quota del TFR se beneficiario o richiedente con successo dell’assegno divorzile. Se il coniuge non ha ancora maturato, ovvero è in procinto di maturare il diritto alla “liquidazione” è dunque consigliabile svolgere la domanda domanda giudiziale insieme a quella -collegata- di richiesta dell’assegno divorzile, in ossequio ad una connessione oggettiva necessaria ed all’economia processuale. La L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, fissa il diritto del coniuge titolare di assegno di divorzio ad una quota di indennità di fine rapporto, percepita dall’altro coniuge ai sensi del predetto art. 12 bis: il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di divorzio, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ha diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto (pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio), percepita dall’altro coniuge all’atto di cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità venga a maturare dopo la sentenza. Nella nozione di “indennità” va necessariamente ricompreso qualsiasi trattamento di fine rapporto, indipendentemente dalle espressioni usate, nei diversi settori, dal legislatore. Si veda, ad esempio pure l’indennità di risoluzione di rapporto di agenzia(Cass. N. 28874 del 2005), essendo determinante l’incremento patrimoniale prodotto nel corso del rapporto dal lavoro dell’ex coniuge , che si è giovato del contributo indiretto dell’altro coniuge .
Il presupposto per la corresponsione è dunque il godimento dell’ assegno di divorzio da parte del coniuge, il quale, a propria volta, presuppone “l’inadeguatezza dei mezzi”, ai sensi dell’art. 5, comma 6 L. divorzio.
Sussiste diritto “anche” se l’indennità venga a maturare dopo la sentenza e ciò significa che essa potrebbe pure maturare prima.
Escluso che sussista diritto, invece, se il lavoratore avesse riscosso l’indennità durante la convivenza familiare, allo stesso modo il diritto non sorge durante lo stato di separazione: legittimato alla domanda è il coniuge divorziato, non quello separato . Anteriormente alla separazione, è da ritenere che l’indennità, quale provento dell’attività separata del coniuge , rientrerebbe nella comunione dei beni (ove i coniugi avessero scelto il regime legale) ma solo allo scioglimento di questa (e dunque, tra l’altro, al momento della separazione personale, ai sensi dell’art. 191 c.c.).
Si può dunque ritenere che l’indennità possa maturare nel corso del procedimento di divorzio o successivamente. E’ palese, per quanto si è detto, la volontà del legislatore di ricondurre il diritto alla quota di indennità a quello all’ assegno divorzile che sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, benchè esso venga determinato e risulti esigibile solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza. E va pure ricordato l’art. 4, comma 10 Legge divorzio,in virtù del quale gli effetti patrimoniali del divorzio stesso possono retroagire al momento della domanda (al riguardo Cass. N. 21002 del 2008; n. 19046 del 2005). In tale prospettiva, l’evidente connessione tra la domanda di attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto e quella di assegno divorzile, giustifica la proposizione della prima nell’ambito del procedimento di divorzio, risultando contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione dell’indennità, la domanda di attribuzione della quota debba proporsi mediante un giudizio autonomo tra le stesse parti (al riguardo Cass. N. 27233 del 2008).
Va, in tal senso, corretta la motivazione della sentenza della Corte di Appello, là dove essa precisa che il S. ha percepito il trattamento in un arco temporale compreso tra il 2001 e il 2004,e cioè prima del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, pubblicata il 2/11/2004. Per quanto si è sopra osservato, sicuramente l’indennità può maturare prima del passaggio in giudicato di tale sentenza, purchè ciò avvenga dopo la proposizione della domanda. E’ al momento della “maturazione” che va fatto riferimento (come indica letteralmente l’art. 12 bis), e cioè a quello dell’esigibilità del relativo diritto, a nulla rilevando eventuali pagamenti differiti o rateizzati.
(Cassazione civile sez. I n. 5654, 10 aprile 2012)